Un brivido improvviso quanto violento attraversò come una saetta il corpo di Holger, intensamente impegnato molto più ad evitare di guardare dietro le sue spalle, che a prestare attenzione al ripido declivio disseminato di instabili sassi del tumulo sul quale era poc’anzi salito. Ma quel fremito, che aveva scosso fin nelle più oscure profondità le sue membra, possedeva in sé aspetti diversi da quelli che solitamente ciascuno di noi ha avuto modo di sperimentare durante la propria esistenza.
Francis Marion Crawford è uno dei più autorevoli scrittori di racconti horror nel panorama della letteratura mondiale. Ha per lungo tempo vissuto in una torre costiera (Torre Crawford) a San Nicola Arcella (CS), a soli venti chilometri di distanza da Diamante. Qui pensa e ambienta un raconto sui vampiri che Ferdinando Romito, senza nessuna mira di onnipotenza nel volersi paragonare al Maestro, reinterpreta in chiave personale il medesimo racconto (For the blood is the life), mantenendone la cronologia e la storia di base, ampliandone però gli aspetti più prettamente Horror della storia. Il volume è arricchito dalla traduzione letterale del racconto originale di Crawford e, per finire, un altro racconto dell'autore sempre sui vampiri.
Nota dell’autore (dal volume)
Cosa mi abbia spinto a rivivere in chiave personale For the blood is the life non è cosa agevole da spiegare.
La fondamentale motivazione è probabilmente da ricercare nell’amore che provo e nutro quotidianamente per la mia terra d’origine. Non è trascorso molto tempo da quando, con grande interesse ed una buona dose di orgoglio, sono venuto a conoscenza del fatto che per lungo tempo Crawford ha abitato questa felice porzione di costa, non da semplice turista ma addirittura da “residente”, proprietario di una delle torri litoranee più belle di tutta la Calabria e, come si può facilmente intuire, ispirato per alcuni dei suoi scritti dallo stesso mare e dalla stessa terra che mi ha visto fanciullo e dove sono impressi i ricordi più belli della mia vita.
Strettamente legata alla prima ve ne è un’altra che, ad una più attenta riflessione, non può essere ritenuta forse secondaria; sebbene questo autore venga considerato come appartenente alla storia della letteratura americana, giustamente se si considera la sua formazione intellettuale e culturale, ritengo che egli debba essere però considerato un “italiano” a tutti gli effetti non solo perché nato, vissuto e scomparso nel nostro Paese, ma anche perché l’Italia è spesso stata la sua Musa ispiratrice.
Credo, a torto o a ragione non so, che egli non sarebbe poi così infastidito dall’essere considerato tale. Anzi ne sarebbe certamente orgoglioso.