Cortecce Rosse - 8899291438

Autore : Giuseppe Turchi
Anno di produzione : 2018
Casa Editrice : Edizioni La Gru
Genere letterario : Narrativa - Drammatico filosofico
Formato : Cartaceo




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Il maschio doveva morire. Era l’unico modo: niente uxoricidio, niente vita.
Per fortuna mai un lume di ragione s’era acceso nelle mantidi che popolavano il mondo di Ent. Nemmeno una scintilla. L’istinto le aveva governate per millenni e, tutto sommato, aveva sempre fatto un buon lavoro. La lotta per la sopravvivenza era stata vinta, la specie si era conservata e diffusa sui due continenti del pianeta, e c’era riuscita nonostante l’inquietante propensione al cannibalismo.
Ma quando il vento del mutamento cominciò a soffiare, Ent fu scosso nelle sue fondamenta e i vulcani sparsero cenere in cielo. Qualcosa in quelle polveri spinse gli insetti a crescere mentre i grandi mammiferi rimasero quasi tutti avvelenati. Da quel momento, il cervello delle mantidi acquistò sempre più volume finché, unico nel suo genere, non fu abbastanza grande per sostenere una propria autocoscienza. Di colpo, quelle creature un tempo solitarie scoprirono che in gruppo i ripari erano meglio costruiti, i viaggi più sicuri e la caccia più abbondante. Così svilupparono un linguaggio, per meglio cooperare, e poi anche una tecnica, per meglio costruire.
Ben presto, però, le paure offuscarono le comodità, e i maschi furono i primi a cogliere l’essenza del terrore. Più piccoli delle femmine di quasi un terzo, più agili, ma assai più deboli, dovettero sperimentare la sottomissione e convivere con la consapevolezza che, presto o tardi, sarebbero finiti in pasto alle loro dominatrici. Allora protestarono, ma non vennero ascoltati. Si ribellarono, e finirono schiavizzati. Si arresero, e diventarono merce da riproduzione, una mera risorsa come il legno e la calcite, per cui le capoclan mossero guerra in ogni angolo del mondo.
Nei tre millenni che seguirono, i morti si contarono a milioni e i rimpiazzi, dati dalle tante nascite, non vennero mai meno. La ragione fu impiegata per il solo fine del massacro e le nuove generazioni non conobbero che questo. Dinnanzi a tale strazio, alcuni maschi di grande saggezza rimpiansero il vecchio stato di natura e diffusero l’idea che la razionalità fosse una maledizione più che un dono: che senso aveva esser consci del proprio destino, se non si poteva fare nulla per cambiarlo? La vita non era già stracolma di apprensioni?
Poi venne il giorno in cui il giovane Adohil riuscì a fuggire dal proprio destino. Promesso alle fauci di una capoclan, aspettava imprigionato nella sua tenda quando una tribù nemica attaccò l’accampamento e lo gettò nel caos. Lui ne approfittò e con grande astuzia si confuse nel mare di cadaveri, per poi far perdere le proprie tracce tra gli altopiani del Continente Orientale. Lì trovò per caso un nascondiglio sotterraneo della resistenza maschile e fu subito accolto come un fratello.
Incattivito dal tempo passato in schiavitù e traumatizzato dalla ferocia guerriera delle femmine, Adohil promise vendetta a se stesso e, grazie a una fine dialettica, scalò la gerarchia per arrivare al comando. Quando ebbe il controllo incontrastato della resistenza, il delirio gli esplose nella mente e progettò il peggior piano che le mantidi avessero mai pensato: l’ibridazione.
«Noi non siamo l’unica razza di mantidi» disse ai suoi nel discorso del 28 a.N. «Ce ne sono molte altre e del tutto prive di ragione! Io dico: incrociamoci con loro! Solo così cancelleremo l’intelligenza dalle menti dei nostri figli, e con essa i tormenti, la paura, e la schiavitù!»
Per raggiungere lo scopo, però, bisognava eliminare tutte le femmine intelligenti dalla faccia di Ent. Una missione impossibile, a meno che non si fosse radunato l’esercito più grande che il mondo avesse mai visto e Adohil, purtroppo, trovò il modo: «Catturate le femmine selvagge! Usatele! Molte di loro non depositeranno alcuna ooteca senza avervi prima mangiato la testa, ma voi incatenatele al suolo! Non correte rischi! Accoppiatevi finché le membra non vi cederanno per la stanchezza, e date vita alla nostra invincibile armata!».
Nel 1 a.N. gli Azin – così s’erano rinominati i membri della resistenza – contavano il numero di soldati più alto che la storia avesse mai registrato. Duecentomila guerrieri, per la maggior parte ibridi, sospesi nella zona grigia tra istinto e ragione, più furbi di ogni insetto ma incapaci di cogliere qualsivoglia valore. La fanteria perfetta per epurare il mondo. Così perfetta, che quando Adohil mosse guerra alle capoclan, nessuna tribù fu in grado di resistergli. Le femmine caddero come mosche. I maschi liberati si unirono alla causa degli Azin e figliarono a loro volta con le mantidi selvagge.
Solo un gruppo di partigiane scampò alla mattanza e ripiegò nelle Montagne Cave del Continente Orientale. Le comandava una femmina vestita con un’armatura di legno, una vergine, che, a differenza di Adohil, credeva ancora nel potenziale della ragione. Quando il capo degli Azin la scovò grazie alle proprie spie, provò un piacere sadico nell’accerchiarla con tutto il suo esercito. Gli sarebbe bastato un quarto dei soldati per ottenere una vittoria schiacciante, ma lui volle ostentare la propria forza al completo.
La leggenda narra che la notte prima della battaglia decisiva, nell’anno 0, la dea Neoptera apparve con un fulmine tra i due schieramenti. Una femmina enorme, di un verde sgargiante, addobbata con un’armatura d’argento e un letale bidente. Tutti restarono ammaliati dalla sua presenza aliena e il tempo sembrò quasi fermarsi. Gli ibridi, posti dinnanzi alla luce di tanta purezza, perirono tra mille agonie.
Richiamato dalle urla dei suoi sottoposti, Adohil si catapultò fuori dalla tenda e assistette con orrore a un’ecatombe. Dall’altro lato dello schieramento, la capitana delle partigiane scrutava la figura misteriosa.
«Chi comanda le legioni, a me si prostri!» intimò Neoptera con voce soprannaturale.
«Io, Adohil, capo degli Azin, non mi chinerò di fronte a una sconosciuta» replicò il condottiero.
«Io sono Neoptera. Io sono la purificazione, la verità e la via. Io sono la Santa che allevia ogni vostra agonia!» proclamò la dea.
Poi, con una scossa impercettibile, Neoptera mosse l’addome e sparse nell’aria una dolce fragranza. Adohil perse all’istante ogni controllo e le si avvicinò ipnotizzato. Gli altri maschi sopravvissuti, ugualmente attratti, furono bloccati da una barriera invisibile, mentre il ribelle saliva sulla schiena della dea e con lei si accoppiava. Neoptera non si mosse, né lo guardò. Tutti trattennero il fiato, finché l’atroce atto di salvezza non si compì. Al momento opportuno, la Divina sguainò le zanne e con un gesto secco decapitò Adohil, per poi nutrirsi della sua linfa. Il corpo senza testa non cadde, restò aggrappato con spasmi sempre più forti, fino all’amplesso finale.
«Purifico il sangue con l’uxoricidio. Benedico la vita futura! Da queste fattrici riparte la vostra speranza» tuonò la dea.
A concepimento avvenuto, Neoptera disintegrò il corpo di Adohil con un colpo di lancia, dopodiché depose due ooteche e chiamò a sé il capo delle partigiane: «Tu che non hai risposto al mio richiamo, chi sei?».
«Mantodea, mia signora.»
«Forte di spirito, forte di stazza, a te il presidio su tutta la razza! Ti affido le matriarche e la Legge, affinché la ragione per voi non sia più una condanna.»
«Come posso essere degna, io che vesto un’umile armatura di legno?»
«Vergine pura che ignori il peso del sangue, sul tuo coraggio fonderò la mia chiesa.»
Senza proferire altra parola, la dea mantide sparì in una luce di smeraldo. Il folle nemico era stato sconfitto. Mantodea si tolse allora l’armatura e andò a esaminare i due preziosi tesori. Nella prima ooteca vide il pulsare mistico di quattordici neanidi perfettamente formate e piene di grazia. Nell’altro bozzolo trovò la Legge incisa sulla calcite e la proclamò a gran voce: «Primo: la femmina sempre sia vostra guida, ella è forte, e il forte comanda! Secondo: non vi sarà altra famiglia che la comunità intera! Terzo: non si faccia all’altro il male che si teme per sé! Quarto: mai si condanni l’istinto uxoricida, perché esso è sacro quanto sacra è la vita! Quinto: sia imposto al maschio di trecentotrentasei lune di unirsi a una fattrice, affinché il popolo sia sempre giusto in numero e forma!».
Neoptera aveva posto le basi di una nuova società matriarcale e Mantodea s’era fatta suo araldo. L’ordine della natura era stato approvato da un dio. Il maschio doveva morire.

 

Cortecce rosse è un romanzo di critica sociale appartenente al genere distopico/surreale. Il testo porta l’attenzione sui problemi della differenza di genere, del conservatorismo clericale e del naturalismo etico. La storia si sviluppa nel mondo immaginario di Ent dove le mantidi hanno evoluto la capacità di pensiero e si sono trovate di fronte all'orrore dell’uxoricidio. I maschi cercano di ribellarsi al dominio delle femmine, le combattono, fino a quando la dea Neoptera non compare per istituire la ginecocrazia e l’accoppiamento forzato ai maschi di trecentotrentasei lune. In quel momento nasce l’Ordine di Mantodea, un’organizzazione religiosa adibita al controllo educativo e morale delle colonie. Ma...Cortecce rosse è un romanzo di critica sociale appartenente al genere distopico/surreale. Il testo porta l’attenzione sui problemi della differenza di genere, del conservatorismo clericale e del naturalismo etico. La storia si sviluppa nel mondo immaginario di Ent dove le mantidi hanno evoluto la capacità di pensiero e si sono trovate di fronte all'orrore dell’uxoricidio. I maschi cercano di ribellarsi al dominio delle femmine, le combattono, fino a quando la dea Neoptera non compare per istituire la ginecocrazia e l’accoppiamento forzato ai maschi di trecentotrentasei lune. In quel momento nasce l’Ordine di Mantodea, un’organizzazione religiosa adibita al controllo educativo e morale delle colonie. Ma...