L’altare che si ergeva in mezzo all’immensa stanza era pronto. Le luci affusolate si espandevano maestose dai candelabri a gambo lungo, a loro volta protesi come i rami di un albero. Tra gli spazi dilatati che si alternavano tra gli oggetti inanimati e le loro sagome proiettate sui muri, anche il tempo sembrava sospeso, rinchiuso in una grande gabbia. Le candele ardevano, disegnando strani giochi di ombre. Era un rincorrersi vorticoso tra i contorni delle cose che si perdevano nel buio in una gara degli opposti, dove la notte strappava lembi di speranza al giorno. Il vuoto si mangiava la luce inghiottendola nel suo pozzo, e lei ogni volta riemergeva dal fondo riguadagnando terreno, tirando un breve respiro con le sue flebili fiammelle.
In successione tra loro, sull’altare, stavano distese le maschere. Assieme agli strumenti del piacere. Illuminate dalla penombra, si susseguivano disposte in fila, meticolosamente ordinate secondo un preciso criterio di ascensione. C’era la maschera nera in pelle, la più severa da dominatrice, che non lasciava nessuno spazio all’immaginazione. Poi quella in carbonio fatta di merletti, un pizzo rigido con due maestose ali di drago poste ai lati degli occhi; e poi ancora quella a mezzaluna, che sembrava volersi prendere beffa di tutto in quel buio senza stelle. Nel ripiano più in basso, sull’inginocchiatoio in velluto rosso, erano riposte invece le fruste. Quelle più soffici, terminanti in sottili lembi di pelle, e quelle via via sempre più pesanti. Addirittura quelle coi chiodi.
C’erano infine oggetti dalle funzioni più bizzarre e oscure, mischiati ad altri ampiamente noti all’immaginario comune. Così i frustini e i morsi per i cavalli, disinvoltamente esibiti insieme alle manette e alle corde. L’alchimia di quella notte avrebbe forse permesso di trasformare quei singoli strumenti di tortura, che giacevano inermi, in attivi organi di piacere. Tutto era rimesso all’arte di chi li avrebbe maneggiati.
Soprattutto, c’erano i vestiti che da lì a poco la Mistress avrebbe indossato. Una tuta in lattex che lasciava trasparire solo qualche lembo di pelle, concessione di un piacere fisico negato ed elargito solo a livello mentale, come i suoi pochi eletti esigevano. Erano gli unici frammenti vivi di un rituale astratto, e per contrasto emanavano un prepotente profumo di vita che saturava l’aria. Il resto era incenso. Nuvole di fumo liberate da un cratere invisibile che si perdevano nell’aria, trasformando quel luogo in una valle fuori dal tempo.
Qualcuno bussò alla porta. Si avvertì un tocco esile, un fondo di esitazione che poteva far credere a un errore. La Mistress fece cenno alla ragazza di accorrere; non bisognava lasciare alcun margine di ripensamento alla preda. Con passo deciso, come era stata addestrata, la ragazza si diresse verso la porta, avvolta in una tunica color porpora che le conferiva un’aria ieratica.
Al vederlo, il respiro le si fermò in petto, come se di colpo le avessero fatto il vuoto e restasse lì, impotente, in piena apnea. Un uomo giovane, alto, atletico e di un pallore niveo, un viso da quadro rinascimentale che difficilmente si sarebbe potuto definire mortale. Un angelo precipitato all’inferno, sembrava la spiegazione migliore.
Lateralmente, una lama di luce lo illuminava di traverso come prendendo vita da una tela del Caravaggio, risaltando per contrasto il suo volto slavato, la sua pelle diafana, il suo sguardo perso nell’infinito. Un pallore che al riflesso delle candele appariva come esangue. La vita gli era volata via, e ora il suo corpo da Adone si trascinava senz’anima.
La ragazza lo accolse con un cenno del capo. Pochi istanti per percorrere lentamente il sentiero cosparso di petali di rose che lo avrebbe condotto alle spine della Mistress e alle sue stanze segrete. Quando i due furono l’uno al cospetto dell’altra, la ragazza si fece da parte. Mistress e schiavo annuirono, lanciandosi sguardi di intesa in assoluto silenzio, come per un antico, segreto patto.
Scelse lui la prima maschera da farle indossare. Berenice, come si chiamava in gergo tecnico: era la più raffinata che le lasciava trasparire il volto dalla metà in giù, permettendo la vista delle sue labbra voluttuose, bramose di sangue.
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L’Angelo veste Sado è un cocktail micidiale, vi trovate vari ingredienti in grado di soddisfare il palato del lettore più esigente: il giallo, con i suoi intrighi, il morto, l’assassino, il poliziotto e l’investigatore esterno. Il BDSM, quello duro, crudo, fatto di dolore che muta in piacere. L’erotismo velato ma presente. La notte, il nero del buio che copre e rivela, che cela e protegge misteri che è meglio non conoscere. La Morte, pronta a spiegare le ali come un Angelo nero. Le Mistress, vere regine del piacere per chi cerca l’oltre. Il tutto agitato con sapienza da un’autrice colta, raffinata, ammaliante. Silvia Alonso vi avvolgerà nelle dotte spire di un serpente che vi porterà a girare le pagine con avidità, sperando di non sentire il sibilo di una frusta sulla vostra schiena. Fa male. Prima di donare piacere…