La strategia dell'attenzione

Autore : MArco Ponzi
Anno di produzione : 2023
Casa Editrice : Guida Editori
Genere letterario : Narrativa-romanzi - Mistery
Formato : Cartaceo
Quarta di copertina
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Uno

«Che spreco di talento...» affermò l’uomo. «Potevano
essere un grande gruppo, avendo indovinato le giuste
melodie, ma hanno rovinato le loro canzoni con testi
bambocceschi».
La persona che gli stava accanto lo guardò senza
proferir parola.
«Beatles... dopo decenni continuano a perdere la
battaglia contro i Rolling Stones, non vanno bene nemmeno
per i funerali» aggiunse, a mezza bocca.
L’uomo accanto fece un sorriso e disse: «Di immortale
non c’è nulla… e sì, anche io sono per i Rolling Stones
»
«Anche se io, per il mio funerale, avrei scelto The
great gig in the sky, dei Pink Floyd».
Si scambiarono un’occhiata di intesa e tornarono
con lo sguardo sulla bara.
Tra tutte quelle persone vestite di nero, quella che
spiccava era una donna in arancione; aveva un abito leggero,
stretto in vita da una fusciacca color panna. Sarebbe
stato adatto per un aperitivo festoso e non per un
funerale, ma questo faceva parte delle ultime volontà del
defunto, il celebre psicanalista Lehman Covi.
Elisabetta Covi conosceva suo padre, certo avrebbe
desiderato vederlo più spesso, ma ciò le era stato impedito
dai fatti della vita, e sapeva che a lui avrebbe fatto piacere,
se avesse potuto, vederla vestita così.
Lehman volle, come colonna sonora, le musiche dei
Beatles perché riconoscibili. Le persone, cantando, si
sarebbero ricordate di aver presenziato in quel modo alle
sue esequie e, facendo questo, non lo avrebbero dimenticato.
Fece distribuire a ciascun partecipante la funzione
dei semi di arancio per coltivare la sua memoria. Un giorno,
i pensieri a lui legati avrebbero dato i loro frutti
tondi, succosi e arancioni che avevano accompagnato in
vita Lehman. L’arancione era il suo colore preferito e l’asprezza
delle arance era una metafora della vita: succosa
se la si sa spremere, aspra quanto basta per apprezzarne
la dolcezza residua, o dolce a sufficienza per smorzarne
l’asprezza. Dipende dalla vita e da come ci si pone mentre
la si vive e da quanto e da come la si spreme, se non
si viene spremuti da essa.
A un occhio estraneo, la vita di Lehman Covi doveva
essere stata di successo, visto il tono allegro della funzione.
Pur nel tentativo di rispettare le volontà del padre,
a Elisabetta fu difficile trattenere il pianto. Vedere il feretro
passare sotto i suoi occhi con l’ammonimento di
restare allegri, era uno sforzo troppo grande per lei, per
lo meno, in quella circostanza in cui il distacco era ancora
recente.
L’epigrafe che suo padre aveva fatto apporre sulla
bara arancione – e di conseguenza sulla lapide – la distrasse
dallo sconforto e la fece sorridere: MENTE SANA IN
CORPO MORTO, a definitiva asserzione che quel che rimane
del defunto è il pensiero, un pensiero più vivo che mai. E
il morto, coi pensieri, ci aveva avuto a che fare fino all’ultimo
giorno.
Un motivo per non abbattersi troppo era il fatto che
il funerale si stesse svolgendo in una bella giornata di sole
che smentiva in parte il detto per cui era famosa la città
di Prato: Prato è la città dello sconforto dove piove, tira
vento e suona a morto.
Non era proprio così, non del tutto, viste le circostanze.
La funzione si tenne in un cimitero acattolico, di
quelli dove, in passato, venivano inumati gli atei e i
miscredenti, se così si vuole chiamare chi decide di non
credere ad altri che non sia se stesso.
Del resto, con la caduta del Cristianesimo, trovare
gente che credesse nel Dio di cui si era raccontato per
oltre duemila anni, si poteva connotare come un’operazione
temeraria.
Le società si erano dovute adeguare, ridiscutere e
riconsiderare i princìpi che avevano ritenuto fondanti
fino a quel momento.
Dunque, niente più giuramenti sulla Bibbia, niente
più richieste di fondi da parte delle Chiese e avanti così,
procedendo verso una laicizzazione via via più rigorosa.
Si erano costruiti molti più cimiteri aconfessionali e
non si erano concesse più irragionevoli libertà ai vari
credi, per quanto, alcune sacche di resistenza, impermeabili
alle prove schiaccianti sulla truffa perpetrata per
secoli, trovassero ancora motivi per esistere.
Di spazio, in quel cimitero, ce n’era tanto essendo relativamente
nuovo ed era stata una necessità della modernità
riformata, perché oramai la domanda di funerali laici era
altissima rispetto al passato, erano la maggioranza.
Trovare la tomba di Lehman non sarebbe stato dunque
difficile, benché vi fossero segnali di un prossimo
affollamento. Con tutta l’immigrazione degli anni precedenti,
il ripristino delle frontiere, la caduta dell’Euro a
favore della Nuova Lira e gli sconvolgimenti di tipo dog-
matico, era del tutto evidente che, una volta giunti al termine
della loro vita, i cittadini cinesi, numerosissimi a
Prato, o di qualsiasi altra etnia o semplicemente rinunciatari
di un culto che li aveva accompagnati per una parte
della loro esistenza, avrebbero avuto diritto a una sepoltura
secondo la loro tradizione o preferenza, ma non
sarebbero stati gli unici.
Una volta calata la bara nella fossa, la tensione si
sciolse e i presenti furono in grado di scambiarsi qualche
sorriso. Come quando si spunta la casella di un impegno
assolto: ci si sente sollevati.
La piccola folla era composta, in gran parte, da persone
non più giovani, dall’apparente aspetto da professionisti,
ben vestite, silenziose, educate.
La fotografia di Lehman raffigurava un uomo felice
e gaudente, ma si trattava di uno scatto recente nel quale
non si poteva nemmeno intravvedere quale era stata la
sua vicenda umana durata dal 1965 al 2050. L’epigrafe
completa era ancora più misteriosa: MENTE SANA IN CORPO
MORTO - SCAMPATO ALLA FOLLIA.
Elisabetta ringraziò uno per uno chi aveva voluto
partecipare al suo dolore; strinse mani, baciò persone e
ricevette abbracci da individui che non aveva mai incontrato
prima ma che sicuramente erano conoscenti di suo
padre; tutta gente di una certa età o coetanea di Elisabetta,
a parte qualche quarantenne.
«Suo padre si è preso cura di molte persone, Elisabetta
» le disse una donna. «Ce ne fossero di uomini così!».
Elisabetta apprezzava tutte le belle parole che venivano
spese in memoria di suo padre e ciò la confortava.
L’affetto che le veniva dimostrato era sincero e questo le
aprì il cuore verso un sentimento esplosivo di orgoglio
nei confronti del genitore.
Quando la folla si diradò, lentamente, lungo il viale
del cimitero, Elisabetta rimase ancora per qualche minuto
davanti alla tomba. Lei osservava intensamente Lehman e
lo vedeva ancora sorridere e fare battute e freddure.
Suo padre era stato un uomo solare, pronto alla
celia, ma riusciva a rabbuiarsi subito e mantenere un distacco
severo non appena c’era da occuparsi di cose serie.
Lehman Covi: un idealista coi piedi ben piantati per
terra, capace di essere visionario ed entusiasta delle sfide
della vita.
“Perché scampato alla follia?” si domandò Elisabetta,
rileggendo la scritta sulla tomba.
Non doveva essere, però, una cosa così strana, quella
di scampare alla follia, visto che la professione che Lehman
aveva esercitato per anni era stata quella dello psicoanalista.
Elisabetta non si soffermò oltre, fu una domanda
fugace, che però le aveva messo in testa l’idea che suo
padre, apparentemente tutto d’un pezzo, potesse avere
avuto qualche debolezza, e magari subìto la fascinazione
dei suoi pazienti. In realtà, di lui, sapeva quel che bastava
per non dimenticarsi di esserne la figlia.
Quello delle persone che hanno bisogno di assistenza
psicologica è un mondo talmente variegato che non
sarebbe stato così strano per lui rielaborare le esperienze
vissute dai pazienti e subirne, in un modo o nell’altro,
l’influsso; che non necessariamente doveva essere negativo.
Vi è quasi più follia tra i sani di mente che tra i malati,
come non mancava di testimoniare Lehman.
Certo, ultimamente, questi aveva avuto il suo bel da
fare; da quel che sapeva Elisabetta, negli ultimi venti
anni, suo padre si era dedicato a casi uno più bizzarro
dell’altro, quasi calamitando tutto ciò che fosse borderline
e complicato.
Di grande aiuto era stata la sua fama dovuta al fatto
di essersi occupato, con vasta eco, di personaggi celebri
che certamente non avevano pubblicizzato i loro disagi
mentali ma che, una volta risolti, gli avevano mandato
amici e persone alle quali avevano parlato bene di lui. E
la voce si sparse al punto da permettere a Lehman di scegliersi
i casi più interessanti.
Il sole aveva iniziato la sua lenta discesa verso l’ovest
ed Elisabetta iniziava a vedere la sua ombra allungarsi sul
viale del cimitero e, con essa, quella delle lapidi e delle
statue che facevano di quel paesaggio un po’ lugubre un
orizzonte marmoreo, lo skyline della città morta.
L’immagine di suo padre che rideva era davanti a
lei.
Quella di sua madre non c’era: Elisabetta non l’aveva
mai conosciuta come avrebbe desiderato, non ne ebbe
il tempo.
E una lacrima colò perché John Lennon, qualche
minuto prima, aveva cantato “she loves you, yeah, yeah,
yeah”.