L'accento sulla A

Autore : MArco Ponzi
Anno di produzione : 2019
Casa Editrice : Associazione culturale il foglio
Genere letterario : Narrativa-romanzi - Drammatico familiare
Formato : Ebook, Cartaceo
Quarta di copertina



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C’è una donna che osserva il mare dall’ampia terrazza della sua villa.
Seduta su una poltroncina in vimini, dà le spalle allo spet-tatore che può notare la sua testa bianca; la brezza le muove i capelli corti e lei, immobile, si perde nell’orizzonte infinito.
C’è silenzio.
Il pavimento chiaro accoglie gli ultimi raggi di sole del tardo pomeriggio e le ombre iniziano ad allungarsi.
Dietro ai grandi occhiali da sole con lenti non troppo scure si scorge lo scorrere lento di una lacrima.
Essa solca, o meglio, si incanala, nelle rughe profonde di un viso vissuto.
Non vi sono tremori sul viso della donna; è come se la lacrima, in attesa da molto tempo, colasse, traboccando da un vaso colmo.
La donna, composta, nel suo vestitino fiorato, contempla, senza stancarsi, le onde, il volo degli uccelli, le imbarcazioni in lontananza, mentre un dolce tepore le scalda una parte del viso.
Forse quel tepore vorrebbe scaldarla di più o asciugare la sua lacrima, ma è troppo debole. Ed è il momento migliore per piangere perché piangere senza lacrime sarebbe come affogare senza morire; una sofferenza troppo prolungata e inutile. Allora è giusto che le lacrime scorrano senza seccarsi e vadano a morire sul crinale di un viso che conoscono alla perfezione, avendo già percorso molte volte quella stessa strada. È un pianto controllato, la lacrima percorre un canale conosciuto e costruito con gli sforzi di anni, come per rivive-re momenti passati con il deliberato intento di provare le medesime sofferenze.
La grande casa che si innalza alle spalle della donna fa da scenario a quel momento di solitudine e riflessione. Il bianco dei muri acceca l’osservatore nelle giornate di sole che colpi-scono la costiera amalfitana ma diventa uno sfondo dolce nelle ore serali, dove un rosa tenue si accompagna al blu in-tenso del mare.
Il bordo del vestito della donna viene agitato dal venticello serale, come a cercare di destarla dai suoi pensieri.
La collana di perle, un regalo, le circonda il collo con fare discreto. Piccoli bagliori ancora riflettono timidamente dalle preziose perle, senza che ciò faccia pensare a una diminuzione di prestigio dell’oggetto.
Una cosa preziosa rimane preziosa anche se ricoperta di fango. Un tesoro annegato in mezzo al mare e coperto di melma, nonostante i secoli, rimane incessantemente un teso-ro.
Tante volte, in vita sua, la signora si è sentita ricoperta dal fango e dalla melma.
Le due scarpe, décolleté bordeaux, sono parallele tra di loro e osservano il mare tra le barre della ringhiera in metallo bianco.
Vi è una immobilità placida, un’attesa paziente del crepuscolo e di un sole che muore felice nel mare che è impossibile da descrivere.
I tramonti visti dalla maestosa villa sono sempre stati malinconici, soprattutto se la solitudine li accompagna.
Tante cose possono far compagnia: la ricchezza della materialità, il piacere del possesso, la bellezza della natura, la presenza di un animale a cui si vuol bene, la cortesia di uno sconosciuto o la gioia di un bambino.
Non che la villa, fastosa e antica, non le fosse da conforto; non che la natura asservita all’uso umano non le suscitasse soddisfazione; ma nemmeno bimbi o animali che vedeva passare di sotto potevano distrarla dalle proprie amarezze.
Il giardino all’italiana, curato per anni da un giardiniere fedele, ordinato e rigoroso, era una delle sue gioie temporanee. Gironzolare all’interno di esso per soffermarsi su un fiore, su un insetto o su una foglia, era diventato uno dei suoi passatempi preferiti.
In tenuta da cocktail, Felicita, ad una certa ora del pomeriggio, andava a scoprire nuovi angoli di quel paradiso terrestre.
Si agghindava con cura, come se avesse un appuntamento, per incontrare le sue piante. Non aveva alcun tipo di appuntamento, il suo piacere di essere costantemente in ordine la faceva sentire più viva.
Se ne avesse avuto voglia, avrebbe scattato centinaia, forse migliaia di fotografie, a quel posto e in quel luogo. Ogni giorno sempre diverso, sempre nuovo; giacché la natura non si assoggetta mai completamente all’uomo e mostra lati di sé ogni volta più spettacolari.
La vita di Felicita è stata splendida, sofferta, tortuosa come le strade della costiera amalfitana. Difficile e magnifica allo stesso tempo, profumata e pericolosa, gioiosa e aspra come i limoni; per diventare poi pacata e sontuosa, come quei grandi collezionisti di opere d’arte che, dopo una vita di ricerca e investimenti, si godono i loro gioielli in totale sereni-tà, senza più affannarsi nella scoperta di qualcosa.
Si godeva quindi, per quanto potesse, per quanto i pensieri gravi la potessero importunare, si godeva quei momenti in assoluta tranquillità, cercando di trovare la lucidità per prendere decisioni definitive.
Doveva farlo adesso, prima che qualche sciagura si potes-se abbattere su di lei, impedendole quindi di decidere in mo-do saggio, misurato, generoso e consapevole.
Che fare di tutti i suoi averi?
Oltra alla villa, c’erano proprietà all’estero, sia di tipo fi-nanziario sia di tipo immobiliare; e poi, autovetture d’epoca, tenute coltivate, vigneti e persino un paio di isole ai tropici: un patrimonio notevole.
Tutti lussi di cui, una volta defunta, qualcuno avrebbe po-tuto godere. Il punto era stabilire chi potesse essere il destinatario di quelle ricchezze.
Avrebbe potuto fare a meno di preoccuparsene, in verità. Ma eredi naturali non ne aveva, e nemmeno altri parenti e, nel caso ve ne fossero stati, lei non li avrebbe ritenuti degni del più piccolo pensiero.
L’unica persona alla quale avrebbe potuto lasciare la sua fortuna era scomparsa da qualche anno.
Con Antonio, Felicita aveva condiviso i suoi anni migliori e quelli più difficili e il vuoto che lui le aveva lasciato dentro era incolmabile.
Lei ritrovava Antonio in ogni cosa: nelle stanze, nei quadri, nelle fotografie incorniciate, nei boccettini dei profumi mezzo consumati e negli armadi ancora stracolmi dei suoi abiti.
A volte, Felicita si tuffava a occhi chiusi dentro a quegli armadi, grandi, profondi e si faceva avvolgere dalle giacche, dalle camicie appese, facendosi sfiorare il viso da odori di-menticati e poi ritrovati, lasciandosi accarezzare dalla levigatezza di alcuni bottoni e dalla leggerezza di altre sciarpe.
Lei rincontrava così il suo Antonio, l’unica persona di cui si era fidata e che se ne era andata troppo presto.
Lo riviveva vestito con un blazer, qualcosa che aveva scoperto in età avanzata e che gli donava un aspetto elegante al quale non era mai stato abituato; lo scrutava, nella sua memoria, mentre, in tenuta sportiva, correva intorno al giar-dino, sudando e facendo brillare ogni goccia di sudore su quel suo volto mediterraneo che si stagliava sul bianco del suo abbigliamento.
Lei invecchiava serena mentre vedeva lui che tentava di mantenersi giovane con qualche attività fisica.
Le rimaneva quindi un ricordo, sbiadito nei materiali, ma vivido nella memoria.
Una storia d’amore rimane tale benché conclusa e non sarebbe valsa la pena di trovare altre gioie tra le braccia di altri uomini.
Uomini che, di certo, non erano mancati in gioventù a Felicita, che poteva ritrovare in questi ultimi anni, ma che non avrebbero retto un confronto con Antonio.
Sarebbe stato un affronto mettere a paragone Antonio con tutti gli altri pretendenti-rimpiazzo.
Le offerte non le sarebbero mancate, a maggior ragione in quegli ultimi anni in cui la moda di avere un fidanzato giovane era alla ribalta.
Ma no, erano giochini per ex starlette tv, sebbene, a dire il vero, quel mondo non lo poteva considerare davvero così distante dal suo vissuto.
Sui comò, sulle credenze e su altri mobili, si potevano osservare cimeli del passato artistico di Felicita, ma erano per lo più nascosti. Parti di abbigliamento rimanevano occultate negli armadi, alcune foto, le più mostrabili, la ritraevano nei suoi anni di giovinezza con poco indosso.
Non che se ne fosse dovuta vergognare adesso, ma nessuno può essere orgoglioso di ogni singola ora della sua esistenza; quest’ultima può essere forse definita compiuta e soddisfacente nella sua totalità, ma nelle proprie singolarità, le ombre, a volte, prevalgono sulle luci, e così capitò anche a Felicita.
Sempre se di ombre si può parlare e se le si intende come cose negative.
Perché è vero che alcuni tipi di ombre servono per mettere in risalto alcuni tipi di luce.