Se dovessi ricostruire il momento esatto in cui mi è cambiata
la vita, non esiterei a collocarlo al giorno della scoperta della
teoria dell’espansione dell’universo.
Federico sfoglia il suo diario. Rileggerne le prime righe è
ormai un rito. Quell’antica lezione di astronomia sull’agglomerato
indistinguibile che è l’universo e sulla sua espansione
verso spazi invisibili, Federico se la porta dietro dai tempi del
liceo. Secondo lui, l’immagine più suggestiva è quella delle
galassie che si allontanano dal punto di osservazione terrestre
per via del rigonfiamento di una massa misteriosa. Se la
immagina della consistenza della pasta da lievito che accresce
la sua dimensione con lenta ma inesorabile ostinatezza.
Se l’universo si espande secondo il moto perpetuo e io faccio
parte dell’universo, allora anche il mio corpo può espandersi a
dismisura. Non conoscendo i confini dell’universo, il corpo può
tendere oltre il consentito, oltre i confini materiali della carne.
E con lui tutto quello di cui si nutre: emozioni, sensazioni,
istinti. E sesso. Sì, sesso. Questa è la fantasia più bella: la possibilità
attraverso il sesso di andare oltre ciò che il corpo consente.
Nel settembre del 2010 – avevo da poco compiuto 50 anni
– vinco un concorso pubblico presso il Policlinico Tor
Vergata di Roma, trovando la mia naturale collocazione
presso l’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive,
come counselor. In quel momento, la mia professionalità sposa
il mio personale stile di vita in un matrimonio che avrà,
come testimone di nozze, la condizione di sieropositività.
Provengo da una generazione per la quale l’informazione,
le sue tesi e relative confutazioni sono la conditio sine qua
non per leggere e interpretare la realtà. E proprio in questo
fortunato 2010, incontro questo articolo di Natalia Aspesi,
apparso sul quotidiano «La Repubblica» del 9 settembre,
rimanendone affascinata. Lo leggo, lo rileggo e lo leggo ancora,
mi esplode nelle viscere, scorre nel mio sangue con una
velocità mai percepita prima: «…dalla clandestinità e illegalità,
alla rivolta di Stonewall nel 1969 che segnò l’inizio della
presa di coscienza anche politica dei gay, alla tragedia dell’AIDS,
che decretò la fine di quello che Susan Sontag ha definito
“il solo periodo di autentica libertà sessuale in tutta la
storia umana”».
Parole come cingolati di un carrarmato nemico che occupano
il mio cuore e lo straziano, ricordando il 3 luglio 1981,
data che segna l’arrivo dell’AIDS nelle vite di noi tutti.
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Avevo 21 anni, un’interessante e divertente attività sessuale,
senza paure, senza condizionamenti e senza pregiudizi.
Quante altre donne avrebbero potuto affermare la stessa cosa?
Le occasioni di comprendere il significato di quelle parole,
da quel lontano 2010, sono i racconti di persone sieropositive
che hanno un retrogusto, a volte, surreale. Le loro storie
di vita e, per alcuni, di una morte sventata con l’arrivo
delle nuove terapie HAART, si sono susseguite a ritmo serrato.
Con lo stesso ritmo, i loro stili di vita – un modo per oltrepassare
un limite percepito come imposizione – mi hanno
inseguito sino a oggi.
Da qualsiasi situazione si partisse, la fine della conversazione
finiva nella personale rappresentazione del fenomeno
del chemsex.
Ogni persona con cui parlavo, ogni relazione che ho instaurato
mi portava per mano verso racconti di sesso; volevano
che io ascoltassi, volevano raccontarsi, volevano un confronto.
Ho molti strumenti, oggi, sono esperta e affascinata da
queste vite e ho cominciato a costruire con i miei pazienti relazioni
originali.
Tutto acquista il suo reale significato: ascolto storie come
flusso di coscienza, senza quel giudizio culturale che ha radici
profonde in noi stessi; raccolgo storie come esperienza di
vita, e del coraggio di viverla. Ho scritto solo una storia, l’ultima,
perché è stata una richiesta legata a una precisa volontà
della persona che me ne ha fatto dono.
C’è sempre un pensiero e una risposta dietro la nostra
idea di appartenenza, orgogliosa o omofobica, alla comunità
LGBTQI+; nel preciso istante in cui si presenta un conflitto,
con noi stessi o con il mondo esterno, noi prendiamo il co-
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raggio di parlarne, ed è da qui che nasce l’idea di una raccolta
di brevi racconti, narrati in punta di piedi, ma con l’orgoglio
di voler raccontare di noi stessi, come solo noi sappiamo fare.
Oneri e onori.
Ho armonizzato il caos e l’ordine che mi contraddistinguono,
ho disegnato il sottile confine tra dramma e ironia,
ho dato luce a lati in ombra; ho avvolto con vigore il mio
sentire spasmodico, traducendolo in un movimento armonioso,
organizzato ed elegante.
Questo terreno fertile di parole sussurrate, urlate e umide
di pianto mi nutre ogni giorno regalandomi un ordine che
mi permette di entrare in relazioni autentiche con chiunque
lo desideri, senza dimenticare il colorato magma caotico da
cui anche io provengo.
Caos e ordine sono l’essenza dell’idea di questa raccolta e
la concretezza della mia crescita personale e professionale.