INTRODUZIONE AL VOLUME
A seguito di un processo lungo, impegnativo e molto doloroso, l’uomo è sceso dagli alberi, ha raddrizzato la schiena e ha cominciato il suo percorso evolutivo fino ad approdare a quell’individuo che oggi la scienza ha definito “Homo Sapiens Sapiens”. Lo sviluppo congruente del Principio di Adattamento e del Principio di Autoconservazione ci ha restituito un essere che amiamo definire razionale, dotato di tre tipi di intelligenza e capace di esprimere il proprio vissuto emotivo utilizzando forme molteplici. Dal linguaggio all’arte, dalla gestualità alle scienze, oggi l’uomo sa come affrontare la sua avventura molto meglio di quando l’ha iniziata. Dacché tutto è cominciato, quest’uomo ha dovuto affrontare problemi. Ostacoli, ostilità, resistenze, fenomeni atmosferici, impedimenti: il problema può essere classificato secondo molteplici declinazioni, ma la sostanza non cambia e non cambierà, perché il problema chiederà sempre di essere risolto.
Cos’è un problema? Cosa evoca questa parola nella mente e nell’emotività di un generico soggetto?
Cosa determina su di te…?
Da un punto di vista etimologico il termine “problema” origina dal greco antico (πρόβλημα): “pro” nel senso di “avanti” + “baila” nel senso di “porre”. Il problema è un oggetto che si pone davanti, un ostacolo che insorge sul nostro percorso e ci sta davanti. Per estensione è qualcosa che ci è stato “proposto”, cioè qualunque difficoltà che richiede un adattamento o un comportamento particolari, ovvero qualunque ostacolo di cui si impone il superamento. Il problema, in sostanza, presenta il carattere della novità, nel senso che richiede un’analisi – superficiale o approfondita – per essere risolto, perché non rientra nell’ordinarietà. In secondo luogo presenta il carattere dell’azione, perché soltanto il comportamento fattivo e concludente ha la prerogativa di “trasformare” la realtà, includendo la trasformazione l’aspetto della risoluzione. In terzo e ultimo luogo il problema richiede il cambiamento. Novità, azione e cambiamento: senza un’applicazione severa di energie mentali e/o muscolari, il problema resta tale.
È interessante notare che il termine “problema” rientra tra le prime 111 parole più frequentemente utilizzate dall’uomo comune (pronunciata circa 60 volte al giorno, in media) e il verbo “risolvere” rientra tra i primi 333 verbi più frequentemente utilizzati. Ragioniamo, parliamo e pensiamo in termini di problema-soluzione molte volte in un giorno, in sostanza: perché? Quale forza ci trascina verso la direzione dell’agire? Perché scomodiamo il nostro cervello così tante volte al giorno, offrendogli in pasto situazioni e schemi da risolvere? Chi ce lo impone e, soprattutto, quale beneficio riusciamo a trarne?
La risposta è, allo stesso tempo, sorprendente e incoraggiante. È la forza della vita: è l’unico responsabile dei nostri esercizi, siano essi puramente mentali, siano soprattutto fattuali. Karl Popper affermò che tutta la vita è fatta di problemi e – come conseguenza – chi si ostina a risolverli, ha scelto semplicemente di vivere in modo pieno la propria esperienza di essere umano. In particolare: “[…] La tesi fondamentale che io desidero sottoporvi può essere formulata come segue: ‘Le scienze naturali, come pure le scienze sociali, partono sempre da problemi; da ciò che in qualche modo suscita la nostra meraviglia, come dicevano i filosofi greci. Per la soluzione dei problemi le scienze utilizzano fondamentalmente lo stesso metodo, quello usato dal comune buon senso: il metodo del tentativo e dell'errore’. Detto più precisamente: è il metodo consistente nel proporre tentativi di soluzione del nostro problema, e nell'eliminare le soluzioni false come erronee. Questo metodo presuppone che noi lavoriamo con un gran numero di tentativi di soluzioni. Una soluzione dopo l'altra viene messa a prova ed eliminata”.
Porsi dei problemi significa ragionare, impegnarsi nel risolverli in modo costruttivo ed escogitare soluzioni efficaci, significa semplicemente vivere.
Qual è, allora la differenza tra “operazione” e “problema”? C’è un discrimine, un elemento che differenzia oggettivamente il nostro stesso approccio di fronte a un comportamento ordinario (quasi banale, potremmo affermare) e di fronte a un problema? Quando il nostro apparato percettivo riesce a cogliere che ci troviamo davanti a un problema?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo introdurre altri tre elementi fondanti: valore-soglia, consapevolezza e intenzionalità.
Semplifichiamo la definizione: abbiamo già detto che per generico problema dovremo intendere qualunque difficoltà che richiede un adattamento o un comportamento particolare, per essere superata. Possiamo altresì affermare che è un ostacolo che rende difficile raggiungere un determinato obiettivo o soddisfare una specifica esigenza. Vogliamo sottolineare gli aggettivi “particolare” e “difficile”. Il problema è determinato – in sostanza – dall’impossibilità di utilizzare un comportamento ordinario (cioè “generico”) e dalla necessità di adottarne uno straordinario (cioè “particolare”). Il problema, in altri termini, è refrattario all’automatismo: qualunque tipo di problema non è risolvibile in modo lineare; se così fosse, allora non sarebbe un reale problema e dovrebbe essere classificato come semplice “contrattempo”, se non addirittura come “occupazione” (qui intesa nel senso di azione, impegno). Agire regolarmente su un campo a noi noto, in definitiva, non costituisce un problema, ma una routine, ovvero una sequela di azioni, più o meno impegnative, più o meno complesse, che ci permettono agevolmente e in modo lineare di conseguire un risultato. La nostra routine lavorativa, per esempio, è una semplice “occupazione”, una sessione di studio o di allenamento costituiscono un secondo esempio, coprire quotidianamente il tragitto dalla nostra abitazione alla sede del nostro ufficio, infine, è un terzo esempio. Se c’è routine, non c’è un problema: esso nasce nel momento in cui la routine – e dunque l’automatismo psicomotorio che ne permette la sua espressione nel mondo reale – si rivela insufficiente. L’insieme di circostanze note e il loro svolgersi in modo ordinario consentono al soggetto di agire automaticamente perseguendo il risultato, senza coinvolgimento attivo del pensiero, della mente, dell’intelligenza creativa, della coscienza. Se l’automatismo funziona, allora non occorre scomodare la coscienza, che può dedicarsi ad attività più importanti; ma se non occorre il supporto della coscienza, allora significa che non c’è un vero e proprio problema e che la convergenza delle circostanze rientra in una soglia di accettabilità. Il superamento di questa soglia, quando percepito, determina l’insorgere di un problema e tutto l’impianto emotivo, percettivo e intellettivo si riadattano di conseguenza. Tutto ciò non è ancora sufficiente: occorre possedere la consapevolezza del problema. È necessario che il soggetto percepisca il problema come tale e abbia intuitivamente l’intenzione di affrontarlo. Molto spesso accade che un soggetto comprenda di trovarsi di fronte a un problema (superamento della soglia di accettabilità, consapevolezza), ma decida più o meno repentinamente di trascurarlo, o perché il beneficio della risoluzione sia giudicato poco significativo o perché giudica l’impegno richiesto alla sua risoluzione eccessivo rispetto al beneficio emergente (analisi di costo-beneficio), o infine perché, a un’analisi superficiale, giudica per lui impossibile la risoluzione. In ciascuno di questi casi questo soggetto non presenta il carattere dell’intenzionalità: egli non ha l’intenzione di affrontare il problema e di risolverlo.
Ogni problema mostra una gradazione nella scala soggettiva di importanza attribuita alla sua risoluzione: esistono problemi molto significativi (cruciali) e problemi poco significativi. Quanto più il problema, se irrisolto, influisce sulla condizione di equilibrio organico, sociale o professionale del soggetto, tanto più verrà considerato significativo e richiamerà l’attenzione su di sé. Dunque qualunque giudizio sull’intenzionalità è fuori luogo e si trasformerebbe in un dubbio esercizio di etica che qui vogliamo evitare. Ciò che ci interessa di rilevare, piuttosto, è che la presenza di un problema è collegata alla concomitanza di molti elementi che possiamo elencare secondo un ordine logico e cronologico: valore-soglia/novità → consapevolezza → intenzione → azione → cambiamento. In difetto di uno e uno solo di questi elementi o manca il problema, o mancherà la sua soluzione.
Questo breve excursus era doveroso per anticipare la trattazione, perché questi elementi torneranno spesso e la chiarezza con la quale riusciremo a riconoscerli e a inquadrarli, favorirà le considerazioni, l’analisi e la risoluzione di un generico problema.
Con il termine “Problem Solving” si intende il generico processo di soluzione dei problemi. È un atto mentale complesso, dove confluiscono modalità di elaborazione delle informazioni, di valutazione dei dati e formulazione di un giudizio, di pianificazione dell’azione e anticipazione delle conseguenze.
In questo Volume ci dedicheremo a definire, inquadrare e proporre soluzioni a problemi relativi al Business. In particolare cercheremo di guidare l’attenzione, la consapevolezza, le decisioni e gli sforzi dell’Imprenditore e del Dirigente Commerciale su questioni che ineriscono lo sviluppo del fatturato: Vendita – Diversificazione – Export – Direzione e Orientamento aziendale.
Una sessione di Consulenza e di Business Coaching lunga e organica, finalizzata a facilitare decisioni e a sviluppare soluzioni ai problemi più ricorrenti.
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