1
Espirò e seguì con lo sguardo l’aria che fuoriusciva dalla sua bocca. Quella scia calda incontrava la foschia e si confondeva con essa. C’e nebbia nella mia bocca, pensò, mentre le dita della mano destra ricominciavano a tamburellare sulla coscia.
Tieni sempre il ritmo, Robbie... L’ossigeno fuoriusciva denso, solido e poi si perdeva nell’aria. Si sfregò le mani e si massaggiò le gambe. Non aveva avuto scelta: per braccarlo fuori di casa aveva scelto di sedersi sulla palizzata, immobile, a rischio di congelamento. Nella sua stanza si sentiva troppo debole, lo avrebbe subito ancora. E tutto ciò che assecondi dura per sempre. I suoi occhi puntavano il lago. Troppo vicino. A quella distanza avrebbe dovuto affrontarlo. Per quanto veloce, non avrebbe potuto evitarlo. Nessuna possibilità di pentimento. Il cuore oltre l’ostacolo, ma dopo bisogna arrivarci alla meta. Tossì, portò una mano alla bocca e si guardò intorno. Le luci della chiatta di passaggio, in lontananza, erano come un orologio. Essenziale e puntuale.
Dovresti essere già al letto, Rob... Niente, neanche questa volta... Forse domani. Domani, sempre domani... Io cosi non ci resisto!
Il rumore di un ramo calpestato e si voltò di scatto, scendendo dall’asse di legno che lo sosteneva. Si abbassò per istinto e cercò di capire la provenienza di quel suono. Oltre gli alberi riusciva a vedere sua madre, in cortile, che lo cercava. Una figura piccola piccola, soliti richiami, soliti movimenti, prima di rassegnarsi e tornare dentro.
“Chi... Chi c’è? Chi sei?”
Forse quelle parole non le pronunciò. Forse le aveva soltanto pensate. Si voltò ancora verso il lago. La luce della luna si proiettava sullo specchio d’acqua, fermo, come fosse una fotografia. Nessuno: quella notte non sarebbe venuto nessuno. S’incamminò verso casa, due volte di seguito si voltò indietro percorrendo la breve boscaglia, fino a raggiungere la meta. Si sentiva sconfitto. Si fermò sul cortile e osservò le finestre. Buie, non un filo di luce. A nanna, tutti a nanna. Mamma, Papá e soprattutto la piccola.
Quando finirà questa storia? – aveva le spalle basse. Tutta l’energia, tutta quella foga, eppure continuava a muovere la testa da destra verso sinistra in una forma di dissenso.
Una folata di vento attraversò tutte le fronde degli alberi e produsse un sibilo forte, rumoroso. Prima di richiudere la porta di casa si concesse qualche altro minuto. Voleva osservare il cielo. Sotto il nero c’erano i monti e più sotto c’era il lago, ma lui vedeva tutto nero, come se non esistesse che quello. Il nero. Quello stesso nero che vedeva nella sua stanza, di notte, quando giungeva il momento di spegnere la luce.
Tieni il ritmo, Robbie... tu tieni sempre il ritmo! – ripetè, e le dita tornarono a percuotere la coscia.
Uno-due-tre-quattro… Uno-due-tre-quattro.
La porta si chiuse davanti a lui, sbattendo, allora lui arretrò camminando all’indietro attraverso il corridoio e una seconda porta gli si chiuse davanti, sbattendo, ma il vento non può entrare in una casa chiusa, non con quella forza. Il vento...? No, non può essere: è già qui! Si fermò. Il pavimento era scivoloso. Si chinò, toccò, portò le dita vicino al naso. Olio, gasolio, qualcosa che gli ricordava il trattore e l’officina. È lui, è qui.
Era sul punto di formulare le sue domande.
Ce la faccio, io ce la posso fare...!
ROBERT...! – risuonò nel silenzio.
Era ancora accovacciato. Al centro della sala da pranzo, piegato su sé stesso, ancora infreddolito. Pochi istanti gli furono sufficienti. Avrebbe riconosciuto quella voce tra tante. Lo aveva aspettato un giorno dopo l’altro. Aveva immaginato di affrontarlo. Lo aveva evocato, ma non avrebbe mai pensato di ritrovarselo in casa ad aspettarlo. Era stato preceduto.
“Vieni pure, piccolo Robert: non aver paura!”
Quello era il giorno del coraggio.
Era la sua occasione. Si era preparato, aveva immaginato quell’incontro. Il giorno del coraggio, ma le sue dita si fermarono di colpo.
Si sollevò e lo guardò. Era seduto per terra. In controluce gli riusciva di vedere la traccia oleosa che aveva lasciato sul pavimento. Aveva le gambe raccolte e la schiena diritta. Fece il primo passo e si rese conto che poteva camminare. Allora fece il secondo e così, dopo poco, si ritrovarono nella stessa stanza. L’odore di petrolio era insopportabile, faceva fatica a respirare.
“Siediti pure davanti a me, Robert e non avere paura...”, gli disse quella figura offrendogli il palmo della mano prima di incrociare nuovamente le braccia.
Il ragazzo si sedette senza mai perderlo di vista. Cercava i suoi occhi senza trovarli. Il suo corpo nudo era ricoperto di petrolio. Quel liquido fuoriusciva attraverso la pelle, gocciolava e poi ritornava in circolo. Sembrava fosse la carne e il suo stesso sangue. Le sue dita erano lunghe e sottili e prive di unghie. La stanza era calda, ma il ragazzo tremava. La stanza era grande, ma in quel momento sembrava piccola come una cella. La stanza era la sua casa, ma in quel momento gli sembrava di essere su un pianeta sconosciuto.
“Avanti, Robert... Sono qui per ascoltarti. Mi hai chiamato: adesso parlami!” – incalzò. La creatura oscillava sensibilmente da destra verso sinistra e mentre lo osservava continuava a perdere liquido nero.
Quella voce. Tante volte l’aveva ascoltata nei suoi sogni, altre volte da sveglio, nella sua stanza da letto. Avrebbe giurato di averla udita se qualcuno mai glielo avesse chiesto, ma non ne aveva mai fatto parola con nessuno, perchè sapeva che nessuno gli avrebbe creduto.
“Mi piace qui” – disse la creatura guardandosi attorno. “Ti ringrazio per avermi chiamato. Non capita cosi spesso di ricevere un invito in piena regola. Spesso sono costretto a insistere, mi faccio avanti da solo. E quasi sempre nessuno poi vuole giocare con me. Eppure guardami: ti sembro cosi cattivo...?”
La creatura nera cominciò a ridere.
Papà e mamma lo sentiranno, si sveglieranno, allora accenderanno la luce e allora... – pensò il ragazzo.
“Nessuno si sveglierà, mio caro Robert”, ammonì la creatura sollevandosi su sè stessa.
È anche nella mia testa…
“Certo che ci sono. Ora smettila. Sono qui, sono ancora calmo. Adesso dimmi!”
La testa tonda e gocciolante sfiorava il soffitto. Era dotato di arti lunghi e sottili. Adesso era alto, altissimo. Il ragazzo si sollevò e inclinò la testa verso il soffitto.
“Tu sai chi sono, vero Robert?”. La creatura lo osservava con le braccia conserte. Il buio e il liquame rendevano la sua espressione inaccessibile, ma il tono della voce non lasciava dubbi sulle sue intenzioni.
“Si”, abbozzò il ragazzo.
“Bene. Allora dimmi, dimmi come tu mi chiami: ognuno ha il suo modo, è così per tutti…”
“Tu sei...”, il ragazzo si ritrasse. Espirò.
“Sto aspettando”
Forza-fatti-forza... Fatti-forza-fatti-forza...
“Tu sei Boogeyman”, rispose il ragazzo.
Batteva i denti e si tratteneva. Non poteva dargli questa soddisfazione. Piangere no: opzione esclusa. Chiudeva gli occhi e si ripeteva “Ce la puoi fare, ce la devi fare...”, ma poi era costretto a riaprirli e quella creatura era ancora lì, pregna di olio puzzolente, altissima e senza occhi.
Una voce minacciosa che veniva dalla pece.
“Boogeyman, l’uomo nero... Hai poca fantasia, ragazzo. Mi sarei aspettato qualcosa di più da uno come te”
Diglielo. Forza: diglielo!
Strinse i pugni, tirò fuori il petto e lo guardò. Pensò all’attacco di una vecchia canzone rock e ne assecondò le percussioni mentalmente, one-two-three: go!, poi sottoscrisse la sua dichiarazione di guerra.
“Io non ho paura di te!”
Tutto ciò che assecondi durerà per sempre. Uno-due-tre-quattro. Le dita che ricominciano a muoversi, lentamente.
Pronunciò quelle sei parole con la convinzione di un ragazzo di dodici anni che racchiude – nei pugni – l’incoscienza dell’inesperienza. Il respiro si fece faticoso, di colpo.
La creatura lo guardò. Si chinò lentamente e i due tornarono alla stessa altezza.
Il ragazzo sentì il suo alito fetido, ma non si mosse. Tieni il tempo, Robbie, tu tieni il tempo… Boogeyman aprì gli occhi e due punti bianchi comparvero sul nero della sua faccia. Il tempo: tu tieni il tempo! “Bravo il mio Robert…”. Boogeyman muoveva le sue braccia lentamente, agitando le mani attorno a Robert, senza mai toccarlo. La sua voce si fece più gentile, quasi femminea. Mantieni la calma, Robbie, e tieni il tempo! Quelle mani unte si poggiarono sulle sue guance e lui trattenne il respiro. Sentì un forte calore, ma restò fermo. La creatura prese a vibrare, la sua pelle liquida cominciò a bollire. Fu un attimo: Robert fu scaraventato contro la gamba del tavolo di legno. Non si trattò di uno schiaffo, ma di qualcosa di più. Fu letteralmente scagliato, senza essere stato sollevato. Aprì gli occhi e ciò che vide fu una massa liquida che riprendeva la sua forma e diventava sempre più grande. Tieni il tempo, Robert. Si morse le labbra e riuscì a trattenere il pianto.
“Così tu non avresti paura di me… ho capito bene?”
Boogeyman arrivava al soffitto. Robert si era rannicchiato sotto il tavolo. Sentiva il rivolo di sangue scivolare sulla tempia. Cominciò a battere con le dita sul parquet. Uno-due-tre-quattro – Tieniltempo… Uno-due-tre-quattro – Tieniltempo, Rob…
“Io sono tutto, Robert. Io so tutto!”
Allungò il collo e gli fu davanti.
“Smettila di tamburellare con quelle dannate dita. ORA!”
Inspirò ed espirò, più volte, fino a quando il ragazzo non obbedì.
“Allora ti dirò quello che succederà da questo momento in poi... Io verrò a trovarti tutte le volte che vorrò, quando vorrò. Tu farai quello che ti dico, senza opporre alcuna resistenza. Non parlerai se non sarai autorizzato. Non respirerai se io non te lo avrò concesso... Sono stato abbastanza chiaro?”
Gridava e sputava e quel liquido oleoso si depositava sul volto del ragazzo, che aveva cambiato la sua espressione.
Robbie riprese il suo respiro. Aveva immaginato le difficoltà e si era preparato a qualcosa di più robusto. La passione ti proteggerà, la musica ti salverà, aveva letto su un libro di fiabe, un giorno, e da allora aveva cominciato a coltivare un sogno. E quel sogno escludeva quelle minacce.
Il giorno del coraggio, Robert. Fatti forza, attaccalo adesso.
Il ragazzo si sollevò e una volta in piedi cominciò a dare il tempo schiaffeggandosi le cosce con le mani.
“Ho detto che io non ho paura di te”, gli replicò senza smettere. Uno-due-tre-quattro, uno-due-tre-quattro. “Io non ho più paura di te!”
Robert prese le bacchette poggiate sul tavolo e improvvisò un tempo di quattro-quarti utilizzando come tamburo tutto ciò che era alla portata, dalle pareti al tavolo al bracciolo del divano alle pentole ammassate sul lavabo. Batteva e teneva il ritmo alternando sillabe cantate alle percussioni. Il tempo, Rob: spingi più forte.
Boogeyman aveva gli occhi sbarrati e le mani che spingevano contro le orecchie. Osservava il ragazzo e scuoteva la testa. Sembrava sciogliersi su sé stesso.
“Basta, smettila”, gridò, ma Robert non lo ascoltava, Robert era in un altro luogo. Era nella terra del coraggio.
Dieci, quindici minuti? Era esausto. Si fermò. Lasciò cadere le bacchette per terra. Respirava con affanno, era sudato. Si sedette sulla poltrona. Davanti a lui una massa informe di liquame prese a muoversi lentamente. Boogeyman tornò alle sue forme. Restarono in silenzio per pochi minuti, senza mai lasciar cadere lo sguardo.
Il ragazzino e il mostro.
Il ragazzino che sfida il mostro.
Robert espirò rumorosamente e sollevò la testa, come se l’altro non fosse davanti a lui. Come se quel confronto fosse terminato.
“Io tornerò, Robert…”, accennò in silenzio Boogeyman.
“Tu cosa voi da me? Io sono solo un ragazzo”
“Tutti i ragazzi hanno delle paure. Io sono la rappresentazione delle loro paure. Io vengo per ricordare loro ciò che non hanno la forza di affrontare. Io vengo per curare!”
“Io sono sano. Io non ho bisogno di te!”
“Perché ne sei così convinto?”
Robert sollevò le braccia e gli mostrò i palmi delle mani. Poi chiuse gli occhi e cominciò a simulare i movimenti delle percussioni sulla batteria, come se avesse un pubblico davanti a sè.
“Io ho il fuoco, Boogeyman... Tu puoi sbattermi a terra, puoi tentare di spaventarmi. Tu puoi prendermi a pugni, puoi farmi sanguinare. Ma non riuscirai a fermarmi, perchè io ho il fuoco dentro di me...”. Un sorriso timido prese forma sul suo viso.
“Io tornerò, perchè sarai tu stesso a concedermelo”
“Io non ti chiamerò. Io non ho bisogno di te. Io so quello che voglio, so quello che devo fare per ottenerlo”
“Cosa vuoi?” accennò ancora il mostro.
“Voglio vivere davvero. Voglio scrivere, voglio suonare... Io voglio l’amore!”, disse Robert, alzando il tono di voce.
La creatura si alzò mentre Robert rimase a terra. Indietreggiò e il puzzo di gasolio svanì di colpo.
“Ti sei dimostrato più forte di quanto tu stesso avessi pensato. Oggi vinci la partita, Robert, ma io non mi arrendo. C’è una guerra in corso, ma questo tu non puoi saperlo. Dovrai combattere, sempre, senza mai fermarti. Non una caduta nè un dubbio: io non ti farò sconti. Mi insinuerò attraverso la più piccola ferita e tornerò, certo che tornerò! Assumerò forme diverse. Io sarò la vanità e sarò la fama. Sarò l’autoinganno e sarò la tua indolenza”
“Cosa vuoi dire?”
“Che oggi sei un essere ‘puro’, pulito e che domani non lo sarai più. Si chiama ‘diventare adulti’ e non è tutta questa cosa meravigliosa. Lo scoprirai presto. E quando accadrà io sarò lì. Non ti perderò di vista neanche per un istante. Sarai tu stesso a chiamarmi. Mi mostrerai le ferite e io mi farò strada nella tua carne. Tu hai il fuoco, Robert, ma io sarò l’acqua che spegnerà questo fuoco!”
Robbie si sollevò.
“Ti ho detto che non ci devi più tornare in questa casa!”. Si fece coraggio. Una luce si era accesa al piano di sopra.
“Io non vado via perché tu me lo chiedi. Le parole non sono uno scudo sufficiente. Ti permettono di fingere per un po’, ma la veritá viene a galla, sempre, con i tempi suoi. Io vado via perché i tempi non sono ancora maturi”
Voci e rumori provenienti dal primo piano fecero presagire l’arrivo di qualcuno. Boogeyman s’incamminò verso la porta d’uscita e Robbie aveva gli occhi puntati sulle scale.
“... e non saranno le parole a fermarmi, in futuro”, concluse il mostro. “Noi ci rivedremo, caro piccolo Robert!”, concluse, poi la porta si richiuse sbattendo e Robbie lo seguì con lo sguardo mentre s’incamminava verso il lago, fino a quando non fu inglobato dalla notte. Staccò il viso dal vetro della finestra.
“Cosa hai combinato questa volta, Robbie?”
Sua madre lo guardò con le braccia flesse appoggiate sulle anche. Indicò il corridoio, sporco d’olio.
“Cosa ti sei fatto? Sanguini dalla testa!”
“Non è niente, Mamma”
“Si può sapere cosa stavi facendo qui, in piena notte?”
“Una cosa importante, mamma”, le rispose.
“Stavo... stavo decidendo del mio futuro!”, rispose, poi andò in camera sua. Prima di spogliarsi accarezzò il poster che aveva sulla parete. Una frase nera su sfondo bianco.
C’era scritto “Love, Peace and Harmony”.
Il Volume presenta la forma narrativa del Romanzo mainstream, benché la trama origini da uno studio particolareggiato delle liriche e delle canzoni dei Marillion, Rockband di spicco nel panorama inglese degli anni ’80, nota per aver aver rilanciato il Progressive Rock di Genesis, Pink Floyd, King Crimson e Tangerine Dream e per aver ridefinito le regole del New-Progressive Rock (anni ’80 e anni ’90).
In concreto il Romanzo tratta la vicenda e la crescita di un ragazzo adolescente (Robbie: il “Drummer-Boy”) che subisce una prima trasfigurazione cambiando il nome in William (“The Jester”, il Giullare) e successivamente in Torch (la Torcia), man mano che, da giovane uomo, diventerà propriamente un uomo adulto.
Un omaggio alla Rockband – o meglio: al compositore e paroliere, Dereck William Dick – in arte Fish. La trama è costituita da una lunga sequela di scene e immagini tratte dalle canzoni più rappresentative dei primi quattro album del Gruppo (quelli che vedono proprio Fish, leader della Band).
Come lo stesso Autore spiega nell’introduzione, sembra che Fish abbia descritto una storia circolare e autoconcludentesi attraverso stesura e pubblicazione di quattro Album (33 canzoni, per la precisione), nei quali è presente una ricorsività dei personaggi (i personaggi del Romanzo, appunto) e una vicenda emotiva che subisce iperboli e tormenti di vario genere e natura (anche psicologica).
Il personaggio principale – Robbie – è un ragazzo innamorato della sua donna (Kayleigh) come della Musica e della vita stessa ed è capace di affrontare tutte le vicende descritte nel Romanzo con la forza, la lucidità e il coraggio dell’adolescenza. Durante la crescita perderà lo smalto e si lascerà sedurre dal potere della fama, della vanità, cambiando le sue convinzioni per convertirsi a una religione del compromesso che gli porterà soltanto dolore e sofferenza. Dopo aver attraversato disperazione, droga e dissolutezza, l’uomo (Torch, nella finzione narrativa) riconquisterà un equilibrio quando comprenderà che l’unica soluzione risiede nel “ritorno a sé stesso”, alla purezza dell’adolescenza.
Il gruppo (Marillion), oggi ancora perfettamente in attività (18 Album in studio, dal 1983 al 2019), presenta milioni di fan disseminati in tutto il mondo, e molteplici i siti e i blog degli stessi fan su piattaforme standard (web) e social-media (facebook, twitter). A oggi non esiste – in Italia – una monografia sui Marillion, né la traduzione di monografie (rarissime, perché datate) disponibili in lingua inglese e tedesca. Questo a garanzia di un appeal commerciale del prodotto finito.
Prefazione e premessa metodologica
Al di là dall’intreccio e dalle vicende che coinvolgono molteplici personaggi secondari, tre sono i personaggi principali. Essi si avvicendano tra loro, ciascuno cedendo il passo al successivo, quasi fossero impegnati in una staffetta, con tanto di consegna del testimone. Essi non si guardano, proprio come accade in una competizione vera e propria: non ce n’è bisogno e comunque non ce ne sarebbe il tempo. Nella competizione di gruppo la fiducia nell’altro svolge un ruolo decisivo. Chi segue consegna il testimone a colui che lo precede e questi continua a correre. Il testimone, in questo caso, non è l’asticella olimpica di plastica cava, bensì qualcosa di meno tangibile e tuttavia significativo. “Ti consegno la mia anima, fratello: abbine cura e falle spiccare il volo”. Queste parole potrebbero essere pronunciate al momento dell’avvicendamento, se solo quei due potessero parlarsi. Ma in verità c’è un velo di pudicizia e di irragionevole discrezione che impedisce loro di guardarsi negli occhi, anche solo per un istante, e fluidificare i movimenti, orientandoli verso un futuro condiviso. Ciascuno dei tre personaggi è convinto di essere il solo ad abitare quello stesso, unico corpo e cosi prende il comando. Eredita una determinata condizione e la costringe a un cambio radicale, senza prima concedersi una sana riflessione. C’è Robbie, il Drummer Boy, e poi c’è William, il Jester, e infine c’è Torch.
Per motivi connessi alla struttura cronologica del romanzo ho deciso di utilizzare forme narrative differenti per rappresentare le vicende di ciascuno. La prima parte[1] del romanzo è presentata attraverso la forma del passato remoto, perche altrettanto remote sono le istanze, le aspettative e le pulsioni del suo protagonista. La seconda parte[2] è stata resa con il passato prossimo, perche più congeniale a rappresentare le vicende e gli stati d’animo del Giullare, mentre la terza parte[3] è stata resa al presente, perché raccontiamo – oggi – la storia attuale di un uomo che è stato bambino, adolescente e ragazzo, ieri, in un passato lontano, benché tempi, modi e personalità si armonizzeranno opportunamente al momento giusto, lasciando emergere “l’uomo” del cui destino siamo tutti noi curiosi.
Per come è stato concepito e strutturato, il romanzo è fruibile da qualunque lettore, presentando una storia chiara, lineare e autoconcludentesi che presenta tutti i crismi classici della Mainstream-Novel. Ciononostante è chiaro che il cultore della musica della Band – i primi Marillion di Fish – riuscirà a cogliere tutte le ‘contaminazioni’ e le semplici connessioni tra le vicende, i personaggi e le liriche degli album in questione.
Ventisei canzoni, delle trentatré presenti negli album, hanno ispirato lo svolgimento e possono essere considerate altrettante scene in sequenza di un lungo trattamento narrativo. I residui quattordici paragrafi devono essere considerati al servizio del plot: la teoria li vorrebbe definire “junction”.
Un breve approfondimento su ciascuna delle canzoni selezionate per comporre il romanzo è stato offerto in Appendice, a conclusione della storia (genesi, contenuti, liriche).
Spero di aver saputo rappresentare il mood, le atmosfere e soprattutto le vicende intime del personaggio, in onore al grande lavoro della Band e del suo mentore, che non sta a me giudicare in questa sede essendo stati ufficialmente proclamati come la più grande Rock-Band di sempre del New-Prog e avendo conseguito premi e riconoscimenti internazionali in tal senso. Spero infine di aver saputo cogliere e interpretare un’intimità che ho ritenuto interessante portare all’attenzione del lettore comune, considerato che il generico fan la conosce almeno quanto me.