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Tiflis (attualmente Tbilisi, Capitale della Georgia) – Febbraio 1920
“Venga pure, Dottor de Stjernvall.”
Come spesso accadeva, il Dottor de Stjernvall si paralizzava al solo suono delle
parole del Maestro. Erano trascorsi ben quattro anni e mezzo dal primo incontro tra i
due, in Finlandia, presso il Phillipoff’s Café, ma nulla era cambiato da allora: la sua
riverenza, uno strano stile quasi “servile” di obbedire a Gurdjieff, un modo acritico
di ascoltarlo e di adempiere alle sue istruzioni quasi alla lettera, erano rimasti integri.
“Venga e si sieda. Lei si ricorda – Dottor De Stjernvall – i motivi per i quali abbiamo
fatto tutti questi sforzi per arrivare sin qui?”
De Stjiernvall si guardò intorno. Si trovavano in un Cafè davanti alla facciata
anteriore del Museo di belle arti Shalva Amiranashvili. Si sedette forzandosi di evitare
rumori superflui, si accomodò gli occhiali tondi sul naso e si accarezzò la lunga
barba nera.
“Lei intende l’apertura dell’Istituto, Signor Gurdjieff?”, fu ciò che gli uscì dalla
Gurdjieff lo guardò negli occhi, poi proseguì.
“Intendo ciò che intendo. Risponda alla mia domanda, la prego.”
De Stjiernvall tossì, poi mascherò l’imbarazzo impegnandosi a pulire gli occhiali.
Il cameriere portò un secondo ḉāi a Gurdjieff prelevando la tazza vuota, gli porse
una guantiera di pasticcini e poi si rivolse al suo ospite.
“Abbiamo costituito un’associazione con il fine di imparare esercizi attraverso
i quali l’uomo può svilupparsi armoniosamente. Lei è l’insegnante, evidentemente.
Noi siamo i suoi allievi.”
“È quello che abbiamo fatto. Potrei non essere d’accordo sulla definizione, ma
la sostanza è quella. O perlomeno: è ciò che vi ho fatto credere sin’ora.” Completò
l’ultima frase con le mani sui baffi e poi si aprì a un sorriso beffardo e fragoroso.
De Stjiernvall sussultò. Era abituato a ogni genere di sorpresa, ma tutto ciò che
ascoltava dal Maestro andava sempre nella direzione dell’insegnamento, un complesso
di idee che pescavano da dottrine antiche e dimenticate. Non era certamente
pronto ad altre novità, non in quel preciso momento della sua esistenza.
“Maestro…”
“Tu ricordi ciò che ci siamo scambiati cinque mesi fa?”
“Certo Maestro: una promessa solenne.”
“E ricordi chi era con noi? Enucleami i fondatori.”
“C’era Lei, Maestro, i Signori Thomas e Olga de Hartmann, i Signori Alexandre
e Jeanne de Salzmann e la signora Julia Ostrowska… poi – evidentemente – c’era
anche il sottoscritto, con mia moglie.”
“Certo, è quello che abbiamo fatto. È corretto vederla in questo modo dal suo
punto di vista…”
“Perché siamo qui, Maestro? C’è qualcosa che non va? Ho fatto qualcosa di
sbagliato?”
“Lei non ha fatto nulla di sbagliato, Dottor de Stjiernvall, ma è venuto il momento
di essere chiari. Ci conosciamo da tanto tempo, tutti quanti, e dunque sono convinto
che possiate comprendere il senso di quello che dirò.”
Gurdjieff si guardò intorno. Una carrozza di passaggio distolse l’attenzione di
entrambi. De Stjiernvall bevve il suo infuso e ripose la tazza sul tavolino. Gurdjieff
sollevò lo sguardo e ammirò il cielo, terso nonostante si trattasse di febbraio e l’aria
fosse fredda.
“Io voglio che tutti quanti i fondatori conoscano quello che le dirò attraverso
di lei. Voglio che ne vengano a conoscenza prima, altrimenti potrebbe nascere un
fraintendimento. Lei sa quanto è complicato intendersi a un determinato grado di
- ”
“Capisco Signor Gurdjieff. Se posso permettermi: prima di cosa? A cosa allude?”
“Nei prossimi giorni sarò sottoposto a un’intervista, probabilmente ne parlerà la
stampa locale. Forse ci sarà un’eco anche in Russia, tra Mosca e Stalingrado. Come
sa ho dei contatti in quelle aree. Conosco anche alcuni dei contenuti sui quali verrò
attaccato e oggi so già ciò che risponderò domani. Non devo fare sforzi, perché dovrò
soltanto raccontare la verità. E non sarebbe corretto che i nostri amici fondatori
vengano a sapere certe cose dalla stampa, cose che ci toccano molto da vicino e che
sento il dovere di spiegare io stesso, assumendomi certe responsabilità.”
“Dunque sarò io stesso a riferirle? Ho capito bene Signor Gurdjieff?”
“Ha capito bene.”
“La ringrazio per questo incarico. Spero di essere all’altezza di questo compito.”
“La smetta di sperare e ne sia all’altezza!”
De Stjiernvall sollevò le braccia, poi riprese la tazza per stemperare l’imbarazzo
e ascoltò il Maestro.
“Lei ha compreso il senso della nostra attività, vero Signor de Stjiernvall?”
“Io… Io ritengo di sì, Signor Gurdjieff.”
“Ritiene che la sua interpretazione possa essere estesa anche agli altri? Intendo
dire: agli altri fondatori? È di quelli che ci interessiamo in questo momento: i fondatori
dell’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo di Tiflis…”
“Ritengo di sì, Maestro, ma si tratta di una opinione, dunque non posso esserne
completamente certo.”
“Bene Signor de Stjiernvall, ottima risposta. Le dirò come la vedo io. L’Istituto
è un centro scientifico per esperimenti, un piccolo laboratorio all’interno del quale
vengono operati complessi esperimenti finalizzati a comprendere definitivamente
i limiti dell’essere umano ordinario, ma anche a determinare le condizioni, le cure
fisiche e psicologiche che possano permettere il superamento di questi limiti, offrendo
all’essere umano la possibilità di riconquistare ciò che gli appartiene di diritto, a
patto che decida di impegnarsi nel lavoro. Lei si ritrova in una definizione di questo
genere, Dottor de Stjiernvall?”
“È sensibilmente diversa da come l’avrei sviluppata io stesso, Signor Gurdjieff.
Ma mi sembra efficace e anche condivisibile.”
“Si ritrova: sì o no? Risponda a questa precisa domanda in modo altrettanto preciso.”
“Sì, Signor Gurdjieff: mi ci ritrovo.”
“Se ci si ritrova – e se ci si ritrovano i nostri colleghi fondatori – allora sarà più
semplice proseguire. Ebbene: alla luce di quello che abbiamo condiviso cerchi una
definizione per il Maestro e per gli allievi. Adesso prosegua lei, Signor de Stjiernvall…”,
Gurdjieff sollevò il palmo della mano e indicò il suo interlocutore. Il cielo
si coprì di grigio e una leggera acquerugiola fresca cercò di distogliere l’attenzione
dei due, ma senza riuscirci.
“Noi… noi siamo i soggetti dell’esperimento? E lei, Maestro… Lei è lo scienziato?”
“Può anche essere detta così, mio caro amico, ma io voglio utilizzare le parole
che utilizzerò durante l’intervista. Voi siete le cavie, mio caro amico, mentre io sono
lo scienziato. Vi definirò ‘porcellini d’India’, perché conosco la differenza tra le
cavie bianche e quegli esseri che gli assomigliano, pur essendo loro stessi dotati di
risorse ulteriori e di una dignità superiore alle normali cavie da laboratorio…”
Gurdjieff fissò Stjernvall negli occhi, fino a quando lui non abbassò il suo sguardo.
“Io non ho bisogno della sua condivisione, de Stjiernval, né ho a cuore la sua reazione
emotiva, come immaginerà. Considero entrambe queste cose ‘merda’. Ho solo
la precisa volontà di sviluppare tutto ciò che è in lei sviluppabile e incrementabile
in termini di competenza, virtù e coscienza e questo lei lo sa già. Ma mi interessa di
conoscere la sua reazione, la sua autentica comprensione di quello che ho detto, perché
sarà proprio lei – mio caro amico – a trasmetterla ai nostri partner. Se la sente?”
“Io me la sento, Signor Gurdjieff. La mia risposta è‘sì’, certo. Ne sono anche
onorato. Sappia che non porterò alcuna mia emozione, né opinione personale su
questo argomento, anche perché non ne possiedo, né voglio svilupparne, perché condivido
con lei – come ci ha insegnato – che si tratterebbe solo di merda.”
“Bene Dottore: mi fa piacere di ascoltare queste parole. Noi tutti dobbiamo imparare
a essere umili e ad accettare la realtà e la verità al di là dalle nostre emozioni,
che ne falsano sempre la portata e il senso. È la vanità che dobbiamo combattere,
innanzitutto. La vanità e l’amor proprio generano ammortizzatori che ci rimbalzano
verso una realtà immaginaria che invece ci è richiesto di distruggere. Per questo
motivo le darò un aiuto, Dottore.”
“Sono qui, Maestro.”
La pioggia cominciò a battere forte sulla strada. La gente prese a correre, ma i
due restarono lì, impassibili, in attesa che tutto ciò che era necessario dire, fosse stato
“Voi tutti dovete conoscere una verità che non ho difficoltà a svelare. Il Signor
Gurdjieff – il vostro Maestro – è stato una cavia, proprio come voi. Il laboratorio
era certamente più grande, un giorno ve ne parlerò, forse riporterò ciò che posso in
un volume, perché anche altri interessati sappiano. Gli scienziati che mi sottoposero
agli esperimenti erano fortemente preparati, pregni di una conoscenza inestimabile e
difficile da descrivere anche per il sottoscritto. Ma è quello che è successo. Io sono
ancora in contatto con loro, riportando i risultati dei nostri test e ricevendo in cambio
ulteriori sollecitazioni. Il vostro Maestro è stato anch’egli la cavia di un esperimento
durato più di quindici anni: non c’è nulla di cui preoccuparsi né vergognarsi. Le è
sufficiente adesso, Signor de Stjiernvall?”
“Lo era anche prima, Signor Gurdjieff. Ogni sua parola è un’istruzione che prendo
sempre molto seriamente”, rispose de Stjiernvall. Così si alzarono ed entrarono
nel Cafè, in attesa che smettesse di piovere.
“Quello che c’è da sapere per completare il quadro, è che gli uomini – quand’anche
vivano un periodo della propria vita nella condizione di ‘cavie’ – hanno un’occasione
che le cavie da laboratorio non hanno e non avranno mai. Essi possono diventare
coscienti di essere delle cavie, possono cogliere il senso dell’esperimento e il sopraggiungere
di questa coscienza – profonda, intima, corporale – determina l’inizio di
una nuova strada. La strada che ha intrapreso il vostro Maestro. Quindi deve sapere
che chiunque può salvarsi, amico mio…”
Gurdjieff strinse la mano a de Stjiernvall, che si commosse. Trattenne le lacrime
per tutto il tempo. Quando uscì fuori dal Cafè e s’incamminò verso la sua strada, le
lasciò scorrere sulla sulla faccia fino alla barba, senza asciugarle. Gurdjieff – intanto
– ordinò una terza tazza di ḉāi.
GURDJIEFF: Viaggio nel Mondo dell’Anima
Joe Santangelo torna in Libreria con una nuova opera – la sua tredicesima – di grande impatto e di difficile classificazione. “Gurdjieff – Viaggio nel mondo dell’Anima” è un’opera multiforme, corposa, sofferta. Quattrocentocinquanta pagine suddivise in tre parti. Idiota n° 17 è il titolo della prima: un Romanzo Documentale nel quale la voce narrante racconta le vicende cruciali della vita, della formazione, della maturità del Maestro, senza indulgere nell’errore dell’apologia e dell’adorazione, comune a tanti biografi più o meno autorizzati. Fondato rigorosamente sui risultati dell’indagine alla ruggine degna di un giornalista di cronaca, operata dall’Autore su innumerevoli fonti (oltre 70 pubblicazioni in varie lingue), testimonianze, trascrizioni, sbobinamenti di conferenze, il Romanzo svela la forza e la debolezza dell’uomo, censurando nelle intenzioni qualunque proposito celebrativo e lasciando che l’insegnamento – laddove presente – si riveli attraverso i fatti, le azioni, i dialoghi e le parole del maestro caucasico. L’attenzione certosina all’ambiente, ai colori, al linguaggio e agli altri aspetti culturali tipicamente umani, completa una trattazione e una descrizione che restano nel cuore del lettore. Idiota n° 17 è una prova letteraria mai tentata prima d’ora su un mostro sacro come il Maestro esoterico Georges Ivanovitch Gurdjieff e occupa una buona metà dell’intera Opera. La seconda parte consta di una sintesi ragionata del “Metodo” illustrato, sistematizzato e promulgato dal Maestro. Dovere Partkdolg è un vero e proprio Manuale, finalizzato a presentare a un generico lettore i canoni, i concetti principali, la metodologia con cui le Scuole di Quarta Via (e il Sistema ideato da Gurdjieff, nello specifico) intendono offrire una possibilità di evolvere nello stato della coscienza. È presentato nella forma del saggio e perciò stesso è stato reso attraverso una prosa attuale, essenziale e ricca di riferimenti pratici, scientifici e metodologici propri della nostra epoca. Dallo studio analitico della “Meccanicità dell’Uomo Ordinario”, così asservito ai capricci dei suoi centri scoordinati, all’esplorazione di ogni declinazione della sua personalità contaminata, della sua “identificazione”; dallo studio delle Leggi Fondamentali della dottrina alla spiegazione della cosmologia, della psicologia, della metodologia finalizzata all’evoluzione della coscienza; dall’analisi del “linguaggio corretto” al concetto di “sforzo personale”, volontario, intenzionale e costante; dall’esigenza di una “comprensione totale”, figlia della combinazione tra conoscenza e qualità dell’essere, alla progressiva cristallizzazione dell’anima, l’unica sostanza che può sopravvivere alla dissoluzione del corpo fisico dell’essere umano. Dovere Partkdolg proietta il lettore – quand’anche acerbo o poco avvezzo a certo genere di filosofia empirica ed esoterica – verso una dimensione nuova, affascinante, orientando le sue percezioni secondo una prospettiva sconosciuta per approdare al cuore della dottrina: il mondo dell’anima, la sede dell’umana purezza. La terza parte – infine – raccoglie approfondimenti sulle fonti dell’insegnamento, insegnanti accertati, allievi primari e relativa opera successiva, e include uno studio molto speciale sulla “Fratellanza Sarmoung”, che molti altri Autori hanno provato ad approfondire, ma mai in maniera davvero critica. Sono qui esposte le varie teorie sulla natura della Scuola dei Sarmouni, senza peraltro che l’Autore stesso prenda una posizione in favore dell’una o dell’altra. Un commentario agli aforismi del Maestro – così abusati e fraintesi o addirittura strumentalizzati – completa l’Opera. Imperdibile per ogni cultore di Gurdjieff e del suo pensiero per la ricchezza di contenuti e l’inedicità di alcuni documenti, l’Opera si rivolge ugualmente a neofiti o semplicemente a lettori poco avvezzi alla materia esoterica.
«L’uomo deve morire. L’uomo sa di dover morire. Non sappiamo quando e non sappiamo come, ma noi tutti sappiamo che dobbiamo morire. Alcune dottrine affermano che l’uomo giusto risorgerà e che la propria anima è immortale, ma la dottrina, la filosofia, la religione, non sono certezze, e comunque in una ipotetica scala verrebbero posizionate molto più in basso rispetto alle certezze autentiche e incontrovertibili già citate. Prima certezza: “Io sono vivo”. Seconda certezza “Io devo morire”. L’uomo dunque è consapevole che dovrà morire. Ma questa cognizione non influenza affatto la sua esistenza. L’uomo dovrebbe essere atterrito da questa consapevolezza, eppure ha maturato una refrattarietà che gli consente di “vivere”, di impegnarsi per soddisfare l’unica regola fornitagli dalla natura, il dovere dell’autoconservazione. Le piccole paure gli permettono di tenere alta l’attenzione, non procurano forti shock e gli permettono di coesistere con gli oggetti, i luoghi e le altre persone. Diversamente la presenza costante, ripetuta, incessante del pensiero della morte – della sua morte – gli procurerebbe uno shock di proporzioni significative di fronte al quale egli avrebbe due strade: paralisi o suicidio. La natura non può permettersi una situazione di stallo, né un dimezzamento di massa della popolazione umana, dunque ha fatto in modo che l’uomo possa “dimenticarsi” della morte, della sua inevitabilità. L’uomo deve morire. Egli sa che la sua morte è inevitabile e ineluttabile, eppure vive. L’uomo – in sostanza – si dimentica quotidianamente di questo orrore e solo così riesce a vivere. Ma la verità non dipende da uno stato di consapevolezza. La verità non dipende dalla memoria, in sostanza. Qualcosa è vero o qualcosa non è vero, indipendentemente dalla mia consapevolezza o dal ricordo che io ho di essa. Dunque l’uomo deve morire, ma non lo ricorda. E se l’uomo non ricorda questa verità – l’unica verità accertabile – allora questo significa una cosa sola. L’uomo non è cosciente. E se l’uomo non è cosciente, questo significa una cosa sola: l’uomo non è sveglio. Il Dovere Partkdolg – in definitiva – rappresenta il complesso degli obblighi e delle responsabilità che l’uomo comune – l’uomo “ordinario” – conserva nei confronti di sé stesso, la pratica della via che gli permetterà di trasformare la propria interiorità e di assurgere allo stato di uomo completo.»
[Estratto da ‘Parte Seconda – Dovere Partkdolg’ – Premessa alla trattazione]
Il Volume – attualmente in fase di produzione dalla Casa Editrice romana “Bastogi Libri” (http://bastogilibri.it) – verrà pubblicato nel Gennaio 2019. Seguiranno presentazioni in varie città italiane. Se qualcuno fosse interessato al Volume (trasposizione cinematografica, traduzione in altra lingua) o a organizzare presentazioni o sessioni divulgative presso Librerie o altre Venues in Italia o all’Estero, prenda pure contatto diretto con l’Autore, per verificare possibili cooperazioni.
Chi era Georges Ivanovitch Gurdjieff?
Georges Ivanovitch Gurdjieff nacque in Armenia tra il 1866 e il 1870. Il suo primo insegnante fu un prete, ma ricevette anche un’educazione scientifica in istituti delle zone circostanti la sua città natale. Si adeguò a uno stile di vita che era cambiato molto poco, durante i secoli. Alle sue domande “Chi sono io? Perché io sono qui?” non trovò risposta né nella religione, né nella scienza, ma sospettava che la verità fosse nascosta nelle antiche tradizioni religiose del passato e in quegli strani miti e leggende che aveva appreso da suo padre, uno di quei bardi tradizionali anche noti con il nome di “ashok”. Assieme a compagni ispirati dalla sua stessa ambizione e mentalità, ha cercato di trovare in Asia e in Africa le risposte e le verità che cercava, imparando molte lingue e acquisendo molte abilità pratiche per guadagnare danaro necessario a finanziare i suoi viaggi. A partire dall’anno 1912 Gurdjieff portò a Mosca un insegnamento sconosciuto, un sapere che non era una religione e non era una filosofia, quanto piuttosto un insegnamento pratico da vivere. Chiamò questo insegnamento “La Quarta Via”. In accordo a quanto egli stesso sosteneva, nulla deve essere creduto fino a quando non viene verificato dall’esperienza diretta, e durante questa verifica non è necessario rinunciare al mondo. Si tratta di una via da percorrere nella vita. Durante questo percorso tutto, gradualmente, dovrà essere messo in discussione: le proprie convinzioni, le assunzioni, gli atteggiamenti, l’intera visione della vita dell’uomo su questa terra. “L’uomo dorme”, disse Gurdjieff, “non ha né coscienza, né volontà. Lui non è libero: per lui tutto ‘accade’. Può diventare cosciente e trovare il proprio posto nel mondo come essere umano ma ciò richiede una trasformazione profonda”. Gurdjieff esige che l’uomo si svegli e ammonisce: “Le potenzialità dell’uomo sono molto grandi: voi non potete nemmeno concepire l’ombra di ciò che l’uomo è in grado di raggiungere, ma nulla può essere raggiunto nel sonno. Nella coscienza di un uomo che dorme, le sue illusioni, i suoi stessi sogni sono combinati alla realtà. Egli vive in una condizione soggettiva e non ha modo di sfuggire a essa. E questo è il motivo per cui non è in grado di utilizzare tutti i poteri che possiede e vive soltanto una porzione di sé stesso”.